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venerdì 15 novembre 2013

Galilei, genio contrastato dall'Inquisizione. Vincenzo, padre di Galileo, protagonista dell'ultimo libro di Sergio Costanzo

Quando si dice pisano, genio e ricercato per la sua dedizione alla scoperta e alla conoscenza è difficile non pensare a Galileo. Meno scontato è conoscere la storia di chi ne fu il suo precursore non solo sul piano strettamente genetico. In una Pisa dinamica e fiorente grazie all’Università fulcro e crocevia di illustri studiosi, la storia della Santa Inquisizione si intreccia con quella di chi cercò di affermare il suo spazio vitale, la libera circolazione delle idee, contrastando terrore e repressione.
E’ la storia di Vincenzo Galilei, il padre di Galileo, importante teorico della musica (inventore del diesis e del bemolle, fautore del superamento della scala pitagorica e precursore della scala logaritmica) che da oggi è al centro della nuova opera narrativa di Sergio Costanzo,nata da un’approfondita ricerca storiografica. Esce oggi “La tavola dei Galilei” Edizioni Linee Infinite, il nuovo romanzo storico di Costanzo, il terzo dopo “Io Busketo” e “Il fiume si rise”, che sarà presentato al Pisa Book Festival sabato 16 novembre alle ore 18,00 presso la Sala Fermi in un incontro con l’autore, Christian Mascheroni e Flavio Soriga.
Il nuovo romanzo è frutto di un approfondito lavoro di ricerca presso gli archivi storici pisani in particolare quello della famiglia Agostini Venerosi Della Seta che venerdì 15 alle 19.30 a Villa di Corliano a San Giuliano ospiterà un incontro con Costanzo. Il tema è l’illegittimità della nomina nel 1569 di Cosimo I a granduca di Toscana in quanto avvenne solo attraverso una bolla papale. Uno dei risultati della ricerca storiografica che ha dato vita al nuovo romanzo di cui parliamo con l’autore Sergio Costanzo.
Da cosa è nata l’idea del libro?
E’ nata una quindicina d’anni fa quando papa Woityla disse di voler aprire gli archivi Vaticani per far luce sull’inquisizione. Come immaginavo la conclusione fu che l’inquisizione non è mai esistita o meglio è esistita ma solo per errori di singoli e non per la dottrina della Chiesa. Io invece avrei voluto che se ne parlasse di più e mi sono riproposto un indagine a partire dagli archivi della mia città.
Cosa hai trovato?
Negli archivi vescovili assolutamente nulla, almeno fino al 1574, anno della morte di Cosimo I.
Strano, in tutta Italia roghi ovunque e a Pisa niente...
E’ appunto questa particolarità a costituire la molla che ha portato alla scrittura del romanzo. Mi sono così imbattuto nella figura di Vincenzo Galilei, padre di Galileo e teorico della musica, un’attività che il Concilio di Trento aveva previsto solo per le cerimonie religiose. Per Vincenzo Galilei, considerato il padre del melodramma italiano, la musica doveva servire per diletto.
Qual è il legame tra la figura di Vincenzo Galilei che resterà a Pisa fino al 1574 e l’assenza dell’inquisizione nella nostra città proprio fino a quello stesso anno?
Il punto è che dalla ricerca negli archivi Agostini Venerosi Della Seta si desume che a Pisa c’erano parecchie accademie segrete e che se Vincenzo Galilei riesce ad andare contro i dettami della Chiesa, lo può fare perché a Pisa è tutelato da queste accademie. Si tratta di una particolare caratteristica di Pisa in quegli anni. Giovanni, figlio di Cosimo I, quando diventa vescovo della città risponde alle pressioni del Papa dicendo che non è che non vuole, è solo che non può applicare l’Inquisizione, perché se lo facesse ogni giorno dovrebbe denunciare tremila persone. La Chiesa con questa storia degli indici dei libri proibiti ti imponeva cosa potevi studiare e arrivò a pretendere di non far curare da un medico chi non avesse rispettato l’indice o chi non si confessava da un inquisitore almeno una volta l’anno. Ma a Pisa certi dettami non erano possibili. Ogni volta che una persona veniva indicata come lettore o possessore di un libro proibito subito scattavano le autodenunce di migliaia di persone.
Ma anche a Pisa la situazione peggiorò…
Sì, già a partire dal 1567 Cosimo I, per ottenere la nomina a Granduca che riuscì ad avere attraverso una bolla papale del tutto illegittima sul piano del diritto nobiliare, tradì il suo segretario di Stato Pietro Carnesecchi e perse quel ruolo di garante che aveva avuto fino ad allora. Cesalpino e altri studiosi pisani furono accusati di eresia. Anche Vincenzo Galilei non si sentì più sicuro e iniziò quella vita di fuggiasco che lo portò ad abbandonare Pisa nel 1574 alla morte di Cosimo I.
La narrazione del romanzo non è però articolata solo su quella della storia…
La vicenda è narrata seguendo due piani temporali paralleli: uno storico collocato negli anni 1560 - 1574 incentrato sulla figura di Vincenzo Galilei, maestro di musica che lottava per sbarcare il lunario, e uno ambientato ai giorni nostri che ha per protagonista il restauratore di strumenti musicali Marcello Torelli che trova una tavola d’organo con incisioni di cui non riesce a capire la provenienza.
Si tratta della Tavola dei Galilei…
Sì, dobbiamo considerare che è proprio la musica ad essere uno dei fili conduttori di un libro complicato. Non ci poteva essere una struttura lineare. L’inquisizione ti impediva di essere te stesso.
Qual era il tuo obiettivo principale quando hai deciso di scrivere questo libro?
Mi piace l’idea di mostrare come il grande Galileo Galilei non sia nato dal nulla. Volevo rendere omaggio a chi ha reso possibile la nascita del pensiero scientifico e ha gettato le basi per l’evoluzione del progresso e della libertà. E’ anche un voler rendere consapevoli che quello di cui possiamo fruire oggi è stato costruito con lacrime e sangue.
Enrico Stampacchia

giovedì 14 novembre 2013

Luoghi, eventi ed emozioni affiorano tra le pagine di “Pisa, il romanzo di una città”

«La vecchiaia – scriveva Simone De Beauvoir - ti afferra all’improvviso e capisci allora, con stupore e con sgomento, che ogni traguardo è raggiunto e che quanto ancora farai non avrà più storia». Per svincolarsi dal debilitante abbraccio della vecchiaia Renzo Castelli, giornalista pisano classe 1937, piuttosto che contrastare prova ad assecondare. A riscoprire cioè emozioni lontane nella sua città, Pisa, a raccontare “luoghi della memoria” cittadina, trenta per la precisione, con personaggi, costumi ed emozioni che costituiscono il vissuto non solo suo personale ma di un’aneddotica popolare, l’humus di un tessuto urbano.
Nel suo ultimo libro pubblicato da Edizioni Ets “Pisa, il romanzo di una città” Castelli riesce così con ottima capacità suggestiva a mostrare in tutti gli aspetti la sua città. Niente di più diverso della descrizione di qualche rapido itinerario, per far conoscere le bellezze architettoniche e monumentali a turisti di passaggio o a chi la città la vede di sfuggita per la prima volta. Questa città raccontata la scopre e la riconosce bene soprattutto chi, pisani e non, Pisa la vive o ha avuto modo di viverla negli anni attraverso esperienze quotidiane. Un libro capace di raccontare una memoria collettiva e personale, ma anche di interagire con la memoria di ognuno di noi.
Un bel romanzo di storia cittadina, il romanzo della città di Pisa che può coinvolgere anche chi la città non la conosce e attraverso la lettura di questo particolare reportage narrativo «può scoprire colori fino ad oggi a lui sconosciuti».
A presentare il volume venerdì 15 novembre al Pisabook Festival, sala arancio, alle ore 17.00, Diego Casali, giornalista e caposervizio della Redazione di Pisa de La Nazione e l’autore, il giornalista Renzo Castelli.
«I luoghi scelti – scrive Castelli – sono soltanto trenta delle centinaia che la città offre. Ma questi e non altri sono “i luoghi della memoria”  che più ho percepito come tali per averli vissuti. Ho volutamente creato un disordine narrativo costruendo senza gerarchie un racconto con tante curiosità nascoste sotto un velo di cultura». A cominciare dal primo dei trenta capitoli “Il Settimo”, «che per i pisani doc non è un semplice numero romano, ma il segno di una vicenda che ha attraversato la storia della città», ovvero il VII Reggimento di Artiglieria da Campagna vanto militaresco di Pisa di stanza nella Caserma Cittadella costituitosi nel 1861 e totalmente distrutto nella seconda guerra mondiale quando ripetuti bombardamenti, nel giugno 1944, ridussero la caserma in “macerie fumanti”.
«Avevo parlato a lungo – scrive l’autore nella dedica – di questo libro con Emilio Tolaini, avrebbe dovuto farne la prefazione, così come era accaduto per “Pisa, 1944 e dintorni” ma la sua scomparsa, avvenuta il 3 aprile 2012, sopraggiunse prima che il libro fosse terminato. Gli resterò sempre debitore per avermi fatto conoscere e capire meglio Pisa, le sue storie, i suoi segreti».
Enrico Stampacchia

sabato 29 giugno 2013

Pinkhouse. Il salotto letterario compie dieci anni e li celebra con una raccolta di poesie e racconti

Per chi suona la campana. O forse sarebbe più corretto dire perché suonano i campanelli. Se il riferimento particolare alla famosa opera letteraria di un grande scrittore americano è del tutto casuale,  non lo è affatto quello ai moltissimi piccoli grandi scrittori nostrani che negli ultimi dieci anni hanno avuto l’opportunità di parlare, conoscersi, fare letteratura crescendo e affinando nel confronto reciproco i loro strumenti linguistici e lessicali. Non appena la sala è piena, solitamente un giovedì al mese, il tintinnio di uno dei molti campanelli da tavolo collezionati dalla padrona di casa apre la serata. Il salotto letterario Pinkhouse può aver inizio.
Per celebrare i dieci anni di attività del salotto di Mariangela Casarosa (letteralmente tradotto in pink house), ormai diventato un punto di riferimento culturale della nostra città, giovedì 27 giugno presso i locali della casa editrice Ets è stato presentato il nuovo volume (pubblicato da Edizioni Ets) Le storie del Pinkhouse. Racconti e poesie di trentasei scrittori (su almeno un centinaio tra scrittori di Pisa, Livorno e Lucca) che in questi dieci anni, chi fin dall’inizio chi solo negli ultimi anni, hanno contribuito all’attività letteraria del salotto. Massimiliano Antonucci, Athos Bigongiali, Cristiana Bruni, Paola Cappagli, Alessandra Casaltoli, Mariangela Casarosa, Nadia Chiaverini, Michele Ciardelli, Edda Pellegrini Conte, Sergio Costanzo, Raffaele Damiani, Ubaldo De Robertis, Gianmarco De Rose, Giancarlo Del Carratore, Carlo Delli, Franco Donatini, Maria Fantacci, Franco Farina, Dino Fiumalbi, Cristina Lastri, Graziella Lezzeri, Franco Marchetti, Franco Masini, Stefano Massetani, Claudia Mazzoni, Alessandra Nanni, Giovanni Nardi, Piero Nissim, Francesca Padula, Pierantonio Pardi, Paola Pisani, Paolo Stefanini, Arianna Taddei, Claudia Turco, Giovanni Vannozzi, Renzo Zucchini sono gli autori che per celebrare l’evento hanno scritto brevissime storie o poesie.
“Il salotto Pinkhouse – precisa Mariangela Casarosa - nasce da molto lontano e deve il suo nome ad una collega inglese di nome Teresa che era solita chiamarmi “la mia amica Pinkhouse”, traducendo simpaticamente il mio cognome”. Già a nove anni la piccola Mariangela, stanca di giocare con le bambole, all’uscita della messa iniziò a invitare le bambine che aveva conosciuto a scuola selezionando le più affini sulla base dell’istinto. “Queste riunioni domenicali a casa mia – spiega Casarosa - divennero una simpatica abitudine. Negli anni che seguirono, continuarono le riunioni, ma cambiarono le modalità e i contenuti”. Dal gioco dell’oca, alle carte, e alla tombola, fino alla svolta alla fine degli anni Ottanta quando Mariangela iniziò saltuariamente ad invitare a casa poeti e scrittori. Incontri che si trasformarono in appuntamenti a cadenza mensile solo dalla fine del 2002.
“Mi trovo bene con gli scrittori – scrive Casarosa – perché ciò che conta per loro sono le qualità intellettuali e la passione per la cultura, la disponibilità a partecipare alla vita culturale in comune e a parlare di arte. Gli artisti sentono il bisogno di comunicare agli altri i propri sentimenti”
Per Pierantonio Pardi, che in questi anni ha condiviso l’esperienza del salotto con Mariangela Casarosa, si è trattato di un’operazione che poteva contenere in sé “il virus dell’autoreferenzialità, del narcisismo tautologico, dell’estetismo dozzinale ma dall’altra aveva una potenzialità: quella di restituire alla letterarietà il fascino e il carisma di sorella minore della letteratura consacrata, anche se a volte soltanto dalle leggi di un mercato editoriale ottuso e consumista”. Le affinità e sinergie favorite dall’attività del salotto hanno dato vita anche a pubblicazioni, non ultima la serie di Giallo pisano.
Per Pardi “la terapia vincente si è rivelata quella del “barrage” un espediente tecnico, utilizzato nelle scuole di scrittura creativa,” che sottopone “tutti gli autori ad una messa in discussione dei propri testi, aiutandoli a crescere, a migliorare, a fare autocritica”. Cristiana Bruni, nel ringraziare Mariangela Casarosa per averla introdotta in questa bella esperienza, sottolinea l’importanza di creare sinergie anche con le istituzioni: “il salotto Pinkhouse è un luogo per fare cultura, in una città come Pisa che per ricchezza prodotta dalla cultura occupa il nono posto in Italia”.
Una ricchezza fatta anche di modelli di cultura fondati sul dialogo tra linguaggi diversi, sulla comunicazione e sulla socialità.
Enrico Stampacchia

domenica 16 giugno 2013

Luminara in Giallo. Dodici racconti nella notte di San Ranieri

La città si preparava alla festa; a frotte, verso sera, i pisani rientravano dal mare intasando il viale e la Bigattiera. La luminaria era cascata di domenica, non restava che il consueto bagno di sole e di folla a Marina e Tirrenia (…) ma verso sera, come rispondendo ad un richiamo ancestrale, l’ordine mai pronunciato, ma universalmente percepito era chiaro: tutti a casa, doccia veloce e poi, via, sui lungarni. Pisa esponeva in faccia al fiume la propria “biancheria”. Terrazzi e finestre ornate attendevano la cerimonia dell’accensione dei lumi, per ostentare la loro centenaria storia e per specchiarsi in Arno”.
Mancano poche ore alla Luminaria 2013, ma prima ancora che sia divenuta realtà è diventata protagonista di una, anzi di dodici brevi fiction. A descriverla in uno dei dodici racconti di Giallo pisano -Effetto Luminaria (Felici Editore) è Sergio Costanzo. Dopo Giallo pisano uno, due e tre, in attesa del numero quattro, un fuori serie sulla notte più magica che si viva a Pisa, la notte di San Ranieri. Dodici storie, frutto di dodici sensibilità, e altrettanti stili narrativi raccolti in un nuovo volume che fa già parte del Giugno Pisano. Presentato al pubblico giovedì 13 giugno all’Auditorium del Centro Espositivo Museale SMS oltre che dagli autori da Renzo Zucchini, curatore della collettanea e da Marco Filippeschi, Sindaco di Pisa, brani di ognuno dei dodici racconti saranno letti dagli autori domenica 16 giugno dalle 20, alla libreria Blu Book.
“L’idea di scrivere racconti tutti incentrati sulla luminaria – ha sottolineato Zucchini alla presentazione al Centro espositivo Sms – è nata l’anno scorso nel salotto letterario di Maria Angela Casarosa. Abbiamo poi ottenuto l’approvazione e il sostegno dell’amministrazione comunale. Ringrazio il sindaco Filippeschi che, apprezzando da subito l’idea, ha voluto inserirla nel calendario delle manifestazioni ed eventi del Giugno Pisano 2013”. Zucchini precisa che “alcuni racconti seguono lo schema del poliziesco classico, altri vanno per schemi propri verso finali in ogni caso a sorpresa, alcuni stanno rigorosamente nel tema, altri sono utilizzati anche per parlare d’altro, di storia, quella vera, o di costume, senza che la digressione diventi pesante, anzi, scoprendo che questa è funzionale alla vicenda narrata, o al protagonista che la anima. Pisa è una piccola grande città, con tante anime, che la letteratura può raccontare. Questa è la nostra ambizione”.
Nel primo racconto “Il killer dei cavalli colpisce ancora” l’autrice Cristiana Bruni si ricollega ad una vicenda realmente accaduta nella metà degli anni Ottanta quando diciotto cavalli vennero uccisi nelle scuderie del centro ippico di Barbaricina, una storia di torbidi interessi, di gelosie, di rivalità. Nella fiction, narrata alla vigilia della luminaria 2013, questi episodi si ripresentano e attraverso questo racconto, che vede tra i protagonisti l’ormai noto vicecommissario Filangeri, l’autrice descrive il mondo poco conosciuto del “paese dei cavalli” ma anche una vicenda privata. Segue il racconto “Quattro vite”di Sergio Costanzo come sempre abilissimo nelle descrizioni, tanto quelle storiche che quelle attuali, della città. Il finale è sorprendente ma per Zucchini anche se “non politicamente corretto” è “quello che la maggior parte dei lettori auspicano”. Il terzo racconto è di Raffaele Damiani, esordiente nell’antologia di giallo pisano, e si intitola “venerdì 17”. Come sostiene Zucchini nell’introduzione al volume si tratta di “un caso balordo di balordi” costruito grazie anche alle conoscenze acquisite dall’autore, nella vita professionale, per trent’anni, funzionario di polizia.
Segue il racconto di Ubaldo De RobertisContro il monaco”. Se l’alchimia fa da sfondo al racconto di un autore che ha lavorato per anni nel settore chimico, attraverso la prossemica, la scienza che studia i gesti, il comportamento, lo spazio e le distanze all'interno di una comunicazione, sia verbale che non verbale, siamo in grado di individuare l’assassino potenziale. Magistrale il quinto racconto scritto da un altro esordiente dell’antologia, ma che ha già pubblicato numerosi libri, Franco Donatini. In “Tutta colpa di San Ranieri” l’autore mette in evidenza il confine quanto mai labile tra incidente e omicidio. Andrea Falchi è la terza new entry. Autore del racconto “La burla di San Ranieri”, Falchi, in uno stile rigorosamente poliziesco, utilizza uno scaltro personaggio già comparso in altri racconti pubblicati, il commissario Silvestri, molto capace nell’utilizzare il suo intuito. Una semplice assonanza di nomi gli permetterà di risolvere il caso. 
Quarto ed ultimo nuovo acquisto all’antologia Gian Cosimo Grazzini che con il suo racconto “Il delitto di san Ranieri” descrive un caso dai cento moventi possibili legati però ad un unico elemento: il modo di esecuzione. I “Lumini dispettosi” di Francesca Padula erano gli stessi che proprio “non volevano rimanere accesi”. Tuttavia il motivo non sembra essere quello più scontato,  una naturale serata ventosa. L’autrice avvolge il racconto in un’atmosfera di magia. Esilarante il racconto di Pierantonio Pardi, “Omicidio a San Ranieri”. Si tratta di una cena con delitto, una di quelle che l’autore non sembrerebbe apprezzare molto. A giudicare almeno dalla frase che mette in bocca ad uno dei principali protagonisti del racconto: “Queste cene con delitto sono proprio una grande c.!”
Per bacco” è  il racconto di Arianna Taddei. Il vino sarà strumento e in parte anche movente di un complicatissimo delitto. L’eroe del racconto di Paolo Terreni, “Il professore e il cadavere nel cassonetto”, sarà il solito professor Gianni Valenti. L’ultimo racconto, “Tentato omicidio di spalletta”, di Renzo Zucchini, ripropone, come scrive lo stesso autore, “un giustiziere “fai da te” sempre più in rotta con devianze e vezzi idioti della modernità, e lo cala dentro l’evento della luminaria, dove succede di tutto o praticamente niente, a seconda che si condivida o meno il suo modo un po’ schizzato di percepire la realtà e di affrontarla”.
“Da questi racconti – ha commentato Filippeschi – si vede che c’è un grande amore per la città e questo fa piacere. E’ bella questa serialità e specializzazione, come anche la scelta di aver titolato l’habitat dei racconti ad una manifestazione storica come la luminaria. E’ un’iniziativa che ben arricchisce il cartellone del Giugno Pisano e contribuisce a creare il clima giusto. Pisa quando si tratta di cultura dà risposte eccezionali”
Enrico Stampacchia

domenica 9 giugno 2013

Progetto Mura Il Parlascio: da porta negata a porta rinata

Molto più della storia di una Porta della cinta muraria. Una breve e romanzata storia delle principali vicende pisane è ricostruita attraverso la storia della sua principale Porta di rappresentanza, quella dove passavano le persone più in vista: la Porta del Parlascio. In uno scenario di storia e microstoria ricca di riferimenti ad avvenimenti pisani e internazionali, la storia della Porta-Bastione si consegna nel suo vissuto attraverso il nuovo libro di Paola Pisani Paganelli La porta negata. Storia della porta del Parlascio edito da Felici Editore presentato venerdì 7 giugno nella sala del Palazzo dei Dodici. Ad intervenire oltre all’autrice, il Sindaco di Pisa Marco Filippeschi, Andrea Serfogli, assessore comunale uscente ai lavori pubblici, Ilario Luperini, presidente Amur (associazione per le mura di Pisa), Paolo Ghezzi, presidente Alap (associazione laureati ateneo pisano) e Ferdinando Ciampi, console dell’Accademia dei Disuniti. Presenti anche Antonio Cellai e Ottavio Bosco, autori rispettivamente del reportage tecnico fotografico e dell’analisi geologica della Porta, gli ultimi due capitoli che concludono la pubblicazione.
Il libro ripercorre una storia che va dall’origine militare della Porta al degrado e a riconversioni improprie. Costruita, secondo quanto riportato dal Maragone nei suoi celeberrimi Annales nel 1157 del calendario pisano, sul rettilineo che va Ponte di Mezzo all’attuale via Carducci, come una delle principali Porte della nuova cinta muraria, e trasformata negli anni Quaranta del XVI secolo come ingresso  del nuovo bastione edificato in quegli stessi anni da Nanni Ungaro, fu riconvertita nel secolo successivo, per uso commerciale, ad uso di ghiacciaia, per poi finire, dopo aver svolto nell’ultimo conflitto mondiale funzioni di rifugio antiaereo, ad essere ridotta ad entrata di officina per auto.
Appena due settimane fa la attesissima svolta: il bastione è finalmente stato acquistato dal Comune. Un’acquisizione realizzata attraverso una permuta immobiliare, per il quale l’assessore uscente Serfogli, che ha rappresentato il Comune alla stipula del contratto, ringrazia in particolare la famiglia Cellai, ultima proprietaria del bastione. “Si apre un nuovo percorso – afferma Serfogli – che coincide con la pubblicazione di questo volume, un libro che si legge molto bene. E’ importante perché nel bastione pensiamo di poter realizzare un punto di salita per il percorso mura ma anche un piccolo museo sulla storia delle mura. L’idea è di riaprire la porta e di creare permeabilità tra il complesso di bagni di Nerone e il bastione”.
Per il Sindaco Filippeschi “l’impegno per l’acquisto del bastione non è né improvvisato né scontato” in una legislazione che favorisce la vendita ma certamente non l’acquisto pubblico di nuovo patrimonio. Per Paolo Ghezzi “bisognerebbe capire come sia stato possibile che un patrimonio pubblico sia finito ad un officina. Da questo libro emerge una città fiera, in cui le persone  vivono una fierezza che si è persa nel tempo e che dobbiamo sforzarci di ritrovare”. “Oggi – sottolinea il Sindaco - il meno è da fare, il più è già fatto. Oggi siamo oltre i progetti, siamo ai finanziamenti, siamo alle acquisizioni. Ci sono tanti turisti in città che prima non c’erano. Avere una consapevolezza della storia della nostra città ci porta su un piano più alto e questo e un libro che può anticipare letture storiche più complesse. C’è rigore storico ma anche capacità di romanzare”.
Per Ilario Luperini “la bibliografia sulle mura è assai ricca ma non c’era un libro come questo. Un libro con  una scrittura agile, con un periodare semplice in una struttura lessicale assai ricca. E’ una storia documentata non solo del bastione ma della città attraverso la verità raffinata della narratrice. Il libro ha un andamento in cui la storia si intreccia con la fantasia, la leggenda, la creazione”.
Enrico Stampacchia
Fonte: http://www.pisainformaflash.it/notizie/dettaglio.html?nId=14209

mercoledì 5 giugno 2013

Pisa e l'Unesco. Franca Vitale Fascetti presenta a Roma il volume “La piazza del Duomo e la selva pisana”

«Il patrimonio di ciascuno, patrimonio di tutti nella missione dell’Unesco, non rappresenta solo la memoria dell’umanità ma è uno dei più importanti valori sui quali si fonda la nostra civiltà. La città di Pisa è all’apice di riconoscimenti che ne universalizzano la fama: la piazza del Duomo, patrimonio dell’umanità dal 1987, la selva pisana, riserva della biosfera dal 2004, la basilica di San Piero a grado, monumento messaggero di una cultura di pace dal 2001». Un patrimonio universale e non solo pisano di cui parlerà a Roma la presidente del club Unesco di Pisa Franca Vitale Fascetti di fronte alla commissione italiana per l’Unesco, l'Organizzazione delle Nazioni Unite per incoraggiare la collaborazione sull'Educazione, la Scienza e la Cultura (più precisamente l’acronimo deriva dall’inglese United Nations Educational, Scientific and Cultural Organization) fondata dalle Nazioni Unite nel 1945.
L’occasione sarà la presentazione del suo nuovo volume "La cultura del patrimonio Unesco (1945-2012). La piazza del Duomo e la selva pisana" edito da Cld libri con il patrocinio del Comune di Pisa, della Provincia di Pisa e con il contributo di Navicelli spa e Sat aeroporto di Pisa. L’incontro pubblico è previsto giovedì 6 giugno alle ore 17.30 presso la sala del Primaticcio a Palazzo Firenze (piazza Firenze 27) a Roma.
Una presentazione di livello nazionale che anticiperà solo di pochi mesi l’inizio delle celebrazioni del novecentocinquantesimo della fondazione della cattedrale pisana, evento anch’esso non riducibile ad un ambito locale. Il Duomo di Pisa è uno di quei quattro capolavori della piazza che, come ricorda Fascetti «hanno  esercitato un’ampia influenza sulle arti monumentali italiani tra l’XI e il XIV secolo». «L’unicità del magnifico insieme dei suoi monumenti» è la motivazione con la quale  ventisei anni fa la piazza del Duomo venne dichiarata patrimonio dell’Umanità.
Con l’obiettivo di identificare, proteggere e conservare quei siti che rappresentano particolarità di eccezionale importanza da un punto di vista culturale o naturale nel 1972 la conferenza generale dell’Unesco ha adottato la convenzione sul patrimonio dell’umanità. La Convenzione considera il patrimonio culturale e ambientale come «il legame tra il nostro passato, ciò che siamo ora, e ciò che passeremo alle generazioni future», quel che potremmo definire la nostra stessa identità. Molto innovativo è il riconoscimento di un sito come patrimonio di tutta l’umanità indipendentemente dal paese in cui si trovi e la sua protezione come un dovere di tutta la comunità internazionale. Secondo l'ultimo aggiornamento del 2011 la lista è composta da un totale di 962 siti (745 beni culturali, 188 naturali e 29 misti) presenti in 157 paesi del mondo di cui 47, il maggior numero, in Italia (seguono la Spagna con 44 e la Cina con 43). «L’Unesco – sottolinea Fascetti – ha messo in piedi un sistema giuridico completo di tutela e di sviluppo per il patrimonio mondiale, culturale, naturale. Sistema che approvato in modo formale nell’intero pianeta, anche se non messo in pratica ovunque, è divenuto norma comune e valida per tutta l’umanità».
Pur non essendo formalmente parte della Convenzione sul Patrimonio dell'Umanità, all'interno del lavoro dell'Unesco è stato definito il programma MAB (man and biosphere) che ha come obiettivo quello di identificare aree di particolare pregio ambientale con caratteristiche antropiche peculiari alle quali viene attribuita la qualifica di riserva della biosfera. “Luoghi – sottolinea Fascetti- dove si sperimentano le migliori soluzioni possibili tra gli esseri umani e la natura” attraverso il mantenimento e la salvaguardia della biodiversità.
Ottava in Italia e seconda in Toscana dopo l’arcipelago della Toscana, dall’ottobre del 2004 la selva pisana è entrata nella lista delle riserve della biosfera. «La selva pisana – spiega Fascetti – deriva il suo nome dall’antica denominazione di una foresta che difende dai forti venti marini la pianura costiera, che si estende dalle Apuane e dalla Versilia fino alle colline di Livorno. Il cuore di questa foresta, compresa tra la foce dell’Arno e il corso terminale del Serchio è oggi conosciuta come Parco di San Rossore». Il riconoscimento della peculiarità del sito è rintracciabile nella motivazione con la quale il comitato Unesco l’ha aggiunto nella lista della riserva della biosfera: «La selva pisana collega il Parco regionale  Migliarino San Rossore Massaciuccoli con processi di pianificazione urbanistica e socioeconomico della città di Pisa. Peculiarità del sito sono l’agricoltura sostenibile, la selvicultura e il turismo assieme alla conservazione dell’ecosistema».
A partire dal 2003 è stata adottata dall’Unesco la convenzione per la salvaguardia del patrimonio orale e immateriale dell'umanità. Si tratta di beni appartenenti alla tradizione culturale (un esempio è la Dieta mediterranea). In occasione dell’ultimo capodanno pisano, il 25 marzo 2013, è stata candidata ad entrare in questa nuova lista (in Italia una delle prima ad entrare è stata l’opera dei pupi siciliani) la luminara di Pisa. Una candidatura per ora italiana che l’organizzazione delle Nazione  Unite sta valutando. In caso di esito positivo si tratterebbe del quarto riconoscimento che la città di Pisa si vedrebbe attribuita dall’Unesco. 
Enrico Stampacchia
Fonte:http://www.pisainformaflash.it/notizie/dettaglio.html?nId=14161

sabato 27 aprile 2013

Boccadarno e gli Asfittici. Quei primi bagnini di Marina in soccorso ai bagnanti in difficoltà

«E’ il 28 febbraio 1875, quando Michele Essinger» interviene nella sala del «consesso municipale a Palazzo Gambacorti (…). Riferirà del primo anno di attività della società di soccorso agli asfittici in Pisa, le cui intenzioni salvifiche sarebbero più chiare se si fosse precisata la più dichiarata circostanza del soccorso: la balneazione pubblica nelle acque fluviali o marine. Gli asfittici da assistere sono i bagnanti che si trovano in difficoltà in acqua».
Roberto Sonnini nel suo libro Boccadarno e gli asfittici. Prime cronache di salvataggio sulle spiagge, edito da Ets alla, ristampa anastatica di un vecchio fascicolo ritrovato casualmente fa precedere un suo breve saggio introduttivo.  Preceduti solo da Genova e Livorno, la società di soccorso agli asfittici in Pisa, trasformata pochi anni dopo da Re Vittorio Emanuele II in Ente morale e ribattezzata con il nome attuale di Società Nazionale di Salvamento, fu così tra le prime a introdurre la figura dell’odierno bagnino.
Presentata mercoledì 24 aprile al Winebar Ristorante Villa Roma in piazza Belvedere a Tirrenia oltre che dall’autore da Graziano Giannessi, vicepresidente nazionale del Sindacato Italiano Bagnanti Confcommercio, Giovanni Scattola, capitano di fregata Capitaneria di porto di Livorno, Virginia Mancini, presidente uscente Ctp 1, Fabrizio Fontani, consigliere provinciale SIB Confcommercio Pisa, Salvatore Sanzo, assessore al turismo Provincia di Pisa, Enrico Fontani, presidente provinciale SIB Confcommercio Pisa, Fiorenzo Meucci, Società nazionale salvamento - Sezione di Pisa, Paolo Ghezzi, vicesindaco del Comune di Pisa, la pubblicazione è nata anche per sottolineare il contributo dato dagli stabilimenti balneari alla collettività.
«Richiamare la storia della Società di assistenza agli asfittici pisani – ha affermato Sonnini - serve a ricordare una specificità tutta italiana. Le stesse specificità che fanno dell’Italia una realtà  diversa dalle altre europee e che richiede pertanto criteri specifici di governo. Non si può uniformare l’amministrazione delle coste dell’Atlantico a quelle del Mediterraneo, che hanno una vocazione nettamente turistica e che subirebbero una grave regressione con lo  smantellamento della intrapresa privata, che a quella vocazione ha dato concretezza». La breve pubblicazione nasce dall’impegno dell’autore all’interno di Proloco Litorale pisano, e dalla collaborazione di Sonnini con Alessandro Nundini e Luca Gonnelli sul tema attuale della legislazione europea inerente agli imprenditori balneari. Oggetto della contestazione è la direttiva comunitaria Bolkestein secondo cui le concessioni sul demanio marittimo non potranno più essere rinnovate automaticamente, ma dovranno essere regolate da un bando con procedura di evidenza pubblica alla scadenza temporale di ogni concessione. 
Per l’autore della pubblicazione «nel caso della Società di assistenza agli asfittici, il valore che giunge a noi è quello fondamentale della solidarietà. Quello stesso valore che vive oggi nelle persone che presidiano le spiagge d’Italia e nelle quali quotidianamente confidano le folle di bagnanti nelle nostre estati. Con Boccadarno e gli Asfittici è tornato alla luce un capitolo importante alle origini del nostro litorale come stazione balneare: la nascita della cultura che da giustificazione a questa volontà attraverso lo sviluppo dei motivi dell’ospitalità e dell’intrattenimento, e ovviamente della sicurezza. Quella sicurezza che oggi si ricerca in forme sempre più puntuali; un esempio per tutti, forse il  più banale, ma anche calzante - la recente scelta di diffondere in modo capillare i defibrillatori».
Fiorenzo Meucci ha sottolineato che «l’Italia è il paese dove ci sono meno morti sul litorale anche per le norme delle guardie costiere».  Per il vicesindaco Ghezzi «a Pisa c’è una capacità di lavorare che viene riconosciuta molto migliore che altrove. Sappiamo le nostre mancanze, ma sappiamo anche che da qualche anno abbiamo fatto dei grossi passi in avanti».
Enrico Stampacchia

martedì 5 marzo 2013

“Scritti pisani”: presentato il libro postumo di Emilio Tolaini, il grande storico dell'urbanistica pisana

Pisa 5 marzo 2013 - "...Ormai solo i vecchi della mia generazione ricordano l’aspetto incantato che aveva il prato del Duomo deserto di visitatori, nelle notti di luna piena, dopo che le ragioni d’una guerra infame ebbero fatto spengere i riflettori messi lì a confezionare per il gusto facile della gente un’immagine banalizzata dei Monumenti. Chi non l’ha vissuto non può immaginare il fascino che si creava all’interno del perfetto spazio geometrico delle Mura sovrastate dalla figura incombente del leone, quando dall’oscura stesura dell’erba, velata dalla leggera evaporazione notturna, i Monumenti, perduta ogni loro reale consistenza, parevano salire verso il cielo, facendosi indistinti, quasi diafani, come partecipando della stessa qualità ottica del lume lunare...".
Non ha avuto il tempo di vedere le bozze del suo libro che era però ormai già più di un progetto. Emilio Tolaini aveva già scritto questa bellissima introduzione dove i ricordi biografici gli permettono di introdurre una delle riflessioni centrali nella sua ricerca intellettuale: la considerazione dei monumenti nella loro purezza e non nella loro fruibilità. In una sala del Palazzo del consiglio dei Dodici gremita, come raramente accade, il libro, pubblicato postumo da edizioni Ets, di Emilio Tolaini Scritti pisani è stato presentato ieri dal sindaco di Pisa Marco Filippeschi, dal professore Salvatore Settis, dall'architetto Alessandro Baldassari, e dal professore Stefano Bruni. Il libro è una raccolta di brevi saggi in cui lo studioso di scultura, architettura e urbanistica medievale, ripercorre la città e mette in fila ricerche, riflessioni e sue prese di posizioni sugli interventi architettonici compiuti a Pisa, in un arco temporale che va dal 1947 al 2010.
Per il sindaco di Pisa Marco Filippeschi "questi scritti riguardano la parte vivente della nostra città". Filippeschi ha sottolineato i moltissimi cambiamenti in atto a Pisa e ricordato di aver fatto in tempo a telefonare personalmente a Tolaini per informarlo di essere riuscito ad ottenere i finanziamenti su progetti relativi proprio agli oggetti dei suoi studi. "Tolaini - ha ricordato con rimpianto Filippeschi  - era un intellettuale coerente, riservato, severo capace di costruire una trama di cultura che si trova anche in questi scritti".
"L'Italia e la Toscana - ha affermato Settis - hanno una grande tradizione di eruditi locali. Tolaini era molto di più, non può ricondursi alla tradizione locale. Pisa era il suo chiodo fisso, rappresentava una città di cultura. Ma era soprattutto la città che avrebbe voluto, una città che potesse servire per rappresentare il microcosmo dell'Italia, un esempio per la trasformazione delle città storiche del nostro tempo. La storia dello sviluppo di Pisa è un modo per parlare di storia. Così quella di Pisa per Tolaini non è storia locale, è storia nazionale".
Nei ventisette brevi saggi di cui è composto Scritti pisani, Tolaini oltre a intervenire spesso nel merito delle realizzazioni effettuate o proposte, criticando quelle che non rispettano la scenografia storica, ricorda quelle che andrebbero realizzate. Così nel saggio "Riportare Ferdinando in lungarno e ricostruire l'impianto scenografico mediceo" Tolaini propone di ricollocare la statua del Granduca mediceo che da più di un secolo è stata spostata in piazza Carrara nel luogo dove originariamente si trovava: sul lungarno di fronte allo sbocco di via Santa Maria. "Tolaini - ha sottolineato Settis - si dice contario alle scenografie improntate alla facile moda del turismo. Non è questione di gusto, ci sono criteri solidi e oggettivi che sono quelli della storia e del rispetto della legalità".
Tra tutti gli interventi architettonici Tolaini apprezza molto un restauro in particolare, diretto dall'architetto Massimo Carmassi. Nel saggio "Il restauro dell'edilizia medievale. Il caso di palazzo Lanfranchi" Tolaini sottolinea il valore dell'operazione che ha "recuperato all'uso pubblico un edificio del centro cittadino registrandovi e conservandovi ogni dato della sua storia attraverso la minuziosa stratigrafia della vicenda particolare allo scopo di attribuirvi la funzione di documento chiaro e immediatamente leggibile di Musee vivant, di otto secoli dell'intera vicenda urbana".
"Tolaini - ha precisato Baldassari - non era solo uno storico, era il custode della città di Pisa. Questi saggi mostrano i suoi molti interessi e le sue molte competenze". Nel saggio "Pisa retorica" si occupa di un progetto, quello della sistemazione della Terzanaia (la Cittadella) compiuto dal celebre architetto Giovanni Michelucci, paradigmatico nei suoi aspetti negativi. Innanzitutto perché è stato affidato motu proprio senza alcun concorso, poi perché il progetto non rispondeva alle esigenze urbane e quindi per lo sperpero di denaro pubblico e per il carattere di decrepitezza precoce.  Nel saggio "Un muro sulla piazza del Duomo" Tolaini si pronuncia a favore del mantenimento dell'alto muro a ridosso della torre pendente che divide la piazza dal convento delle monache cappuccine (l'attuale Museo dell'Opera). Il muro di per se ha poco valore ma, fa notare Tolaini "resta ad impedire la definitiva rottura dello spazio urbanistico". Rottura già avvenuta nella piazza nel 1863 con la demolizione della chiesa di San Ranierino, della Casa dei Curati e di quella del Capitolo dei Canonici che determinò "il formarsi di una zona informe in cui si veniva malamente a disfare il tessuto urbano della piazza fino ad allora mantenuto". Le conseguenze sono rintracciabili in una piazza estranea alla città. Questa volta Tolaini fu ascoltato e il muro restò al suo posto.
"La scelta dei testi - ha affermato Bruni - è di Tolaini che nella sua vasta produzione ha inteso tracciare la propria biografia intellettuale, Tolaini è un grande storico dell'arte, ma la veste di storico dell'arte può andargli stretta. I suoi interessi filologici e per la storia urbanistica sono rivolti a comprendere l'ambito in cui viveva. Per la storia di Pisa esiste un prima e un dopo Alessandro da Morrona, ma esiste anche un prima e un dopo Emilio Tolaini. L'unico modo per celebrarlo è non fare nulla che non avrebbe approvato".
Enrico Stampacchia

venerdì 8 febbraio 2013

La filologia come arma di vita. Intervista a Michele Feo, autore di “Persone, da Nausicaa a Adriano Sofri”

Personaggi incontrati nel loro esistere in quel dialogo tra letteratura e vita che trasforma maschere in persone. Persone che, in un continuo entrare ed uscire dalle pagine dei testi, fanno parte dell'esistenza di Michele Feo, autore del nuovo libro in due volumi Persone. Da Nausicaa a Adriano Sofri edito da Il Grandevetro che sarà presentato venerdì 8 febbraio alle ore 17.30  presso il Museo della Grafica a Palazzo Lanfranchi da Marco Filippeschi, sindaco di Pisa, Alessandro Tosi, direttore scientifico del Museo della Grafica, Remo Ceserani, già ordinario di Storia della critica letteraria all'Università di Bologna e accademico dei Lincei, Paolo Desideri, già ordinario di storia greca e romana all'Università di Firenze, Natascia Tonelli, docente di letteratura italiana all'Università di Siena. Coordina Silvia Panichi, assessore alla Cultura al Comune di Pisa.
Ne parliamo con l'autore Michele Feo, fino a due anni fa ordinario di Filologia medievale e umanistica nell'Università di Firenze.

Professor Feo, lei ama definirsi un "pisano extracomunitario" un po' dentro, ma, anche per le sue origini lucane, un po' fuori la città di Pisa. Il suo libro è anche un omaggio a una città che è molto presente nel testo almeno nella sua storia recente...
Sì, a partire dal movimento studentesco, dai movimenti di rivoluzione giovanile, quella che molti chiamano la "contestazione". Preferisco usare il termine rivoluzione anche se oggi è un po' arrugginito. Fortunatamente il concetto di persona è stato sostituito al concetto di masse, una parola che non sopporto più. E nel mio libro parlo della vita delle persone prima ancora che delle loro idee. Mi riferisco molto anche a coloro che hanno contribuito a fare la storia ma di cui la storia non si è occupata, quelli che Luciano Della Mea, uno dei personaggi centrali in quegli anni, definisce già nel titolo di un suo libro "i senza storia". Io ne parlo soprattutto sotto un particolare punto di vista, quello del mio mondo degli affetti familiari. Sono le persone con cui ho fatto un tratto di vita insieme. 

Ma tra le decine di incontri umani e intellettuali, quelle che lei definisce "ombre insepolte che chiedono di essere riascoltate, non necessariamente ritratti o biografie", non ci sono solo le persone care con cui ha fatto un tratto di vita insieme...

Una parte di questa piccola folla è costituita da personaggi letterari presi dai testi su cui ho fatto lezioni, spesso personaggi dell'antichità e del medioevo. Poi ci sono i personaggi molto significativi per la mia formazione intellettuale ma anche per la cultura italiana che occupano la maggior parte del libro.

Un esempio?
Il più importante per me è stato il filologo Guido Martellotti maestro di petrarchismo. Mi sono accorto di quanto fosse importante per me dopo la sua morte che è stata come la perdita di un padre. Già all'epoca raccontare la sua storia mi è sembrato vitale perché ho capito per la prima volta che ciò significa fare i conti e mettere ordine al rapporto che abbiamo avuto con una persona, rintracciandone tanto le differenze quanto le somiglianze. Si genera anche un rapporto affettivo forte, si potrebbe quasi definirla una sorta di "omosessualità intellettuale".

Un altro filologo a cui dedica ampio spazio nel libro è Sebastiano Timpanaro...
Sì, Timpanaro mi appariva come una figura cristallina. Non è stato facile conviverci sul piano intellettuale. Nel libro c'è un desiderio di pacificazione spesso irrealizzato.

E' come se raccontasse le storie di altre persone per intravedere una sua autobiografia?
Non era il mio obiettivo ma di fatto è ciò che è avvenuto.

Ma ciò si può dire che è legato alla sua professione di filologo...
Quando arrivai all'università il sistema fisso del sapere, il mio mondo ordinato, si scompaginò. Al liceo la lezione la riferivi, mentre all'università si dialogava con i testi. E' a quell'epoca che scoprii la filologia come arma del sapere capace di dare un metodo. L'esercizio della filologia non può essere distinto dalla vita e dalla politica, per me è la sostanza stessa della vita e della politica.

In pratica che significa?
Faccio un esempio: c'è un passo di Virgilio che si trova in due o tre lezioni diverse. La filologia deve essere in grado di identificare quella giusta. Non si arrende di fronte al possibilismo ma appura la verità possibile cercando di distinguere tra la verità e l'errore. Oggi viviamo, invece, in un relativismo assoluto, mentre è necessario considerare la verità come un punto di arrivo che può mutare. La filologia è nata dai conflitti di religione, dalla lotta per  leggere e interpretare i testi alla luce della pura ragione. La filologia mostra come la verità sia relativa e storicamente condizionata, , ma ciò è ben diverso dal relativismo che mette tutte le verità possibili, accostate l'una all'altra, sullo stesso piano in modo indifferenziato. Le verità delle acquisizioni filologiche sono vere come sono vere quelle della fisica. Non è vero che tutte le idee abbiano la stessa dignità. Non possiamo difendere o adattarci all'infibulazione in nome della verità di una determinata religione. 

Come è nata l'idea del libro?
E' nata da una richiesta di Sergio Pannocchia che voleva un mio libro tra quelli editi da Il Grandevetro. Ho pensato di raccogliere alcuni scritti biografici su personaggi e ho aggiunto alcune pagine inedite. Ordinarli è stato per me una elaborazione travagliata. Sono riuscito a trovare una conclusione solo nel 2012.

Perché "da Nausicaa a Adriano Sofri"?
E' per segnare un arco temporale. Nausica è il personaggio più antico che si trova nei poemi omerici. E' la figura più dolce: chiede e dà amore senza neanche averlo conosciuto. Sofri è il personaggio più recente, un intellettuale raffinatissimo, un eroe contemporaneo gettato nella polvere. In qualche modo sono entrambi dei perdenti. Alla storia di Sofri c'è anche una partecipazione perché l'ho sentita come una brutta lesione alla nostra storia civile e democratica. Ai tempi di Lotta Continua aderivo al Pci, un partito totalmente estraneo al settarismo dei gruppi extraparlamentari, ma quando Sofri è diventato un dannato è scattato il bisogno di difenderlo.

E' centrale il suo rapporto con la politica...

Della politica come forma di vita indubbiamente, ma non come appartenenza ad un partito. Mi sento di appartenere all'area della sinistra storica quella che ha radici nella storia del movimento operaio e che ha certamente fondamenti scientifici nella conoscenza economica e strutturale della società, ma per me essere di sinistra ha anche un fondamento passionale che si traduce nello stare dalla parte dei più deboli. Non c'è un'adesione, la parte politica emerge nell'empatia che ho verso "i senza storia".

Il libro è composto da due volumi: il primo ha come sottotitolo "Donne, pittori, eroi, animali e gente senza storia", il secondo "Maestri e compagni". E' una divisione per tipologie di persone?
Il primo volume è più variegato e meno approfondito storicamente, è più vicino ad un racconto poetico. Ci sono personaggi letterari, persone semplici, gli affetti, la famiglia, "i senza storia". Ma c'è anche un capitolo sulla categoria "donne", su donne del passato, dal Medioevo al Settecento. E' curioso come in quei secoli emergano donne di una grandezza intellettuale impressionante. Nel secondo volume ci sono pochi personaggi, ma tutti studiati storicamente con ricerche d'archivio: i miei maestri e i miei compagni di strada.


Enrico Stampacchia
Fonte: http://www.pisainformaflash.it/notizie/dettaglio.html?nId=12959

sabato 26 gennaio 2013

Pisa città d'acqua: fotografare l'attualità per progettare il futuro e conoscere il passato. Guida al volume fotografico di Irene Taddei

Fotografare il presente per progettare il futuro e conoscere il passato di una città nata sui detriti alluvionali di due fiumi. Non capita spesso di scoprire luoghi di grandissima suggestione, vicini ma a volte sconosciuti, sfogliando le pagine di un libro. Dedicato al rapporto fra Pisa e le vie d'acqua, il volume fotografico Pisa città d’acqua - libro strenna delle società Forti Holding SpA e Ecofor Service SpA - è stato presentato dal Sindaco di Pisa Marco Filippeschi, dall'editore Pierfrancesco Pacini, dall'architetto e curatore dei testi Mario Pasqualetti e dall'autrice Irene Taddei nella Sala Regia di Palazzo Gambacorti.
Anche il Presidente della Forti Holding SpA, l'Ing. Franco Forti, ha espresso  il suo entusiasmo  per il libro di quest'anno; un'opera che porta avanti dal 1992 la tradizione dei libri strenna del Gruppo Forti legati al territorio pisano.
Se l'Arno, l'elemento determinante nella vita, nell'economia, nella storia di Pisa, gioca il ruolo di primo attore,  il mare, i lungomare del Litorale, l’acquedotto, le fontane, e il sistema dei fossi e dei canali, a cominciare da quello dei Navicelli, sono anch'essi soggetti principali dell'ampia ricognizione fotografica. Centottanta foto di un territorio ricco di testimonianze sull'opera svolta dall'uomo per controllare l'acqua (vedi scheda) illustrano le pagine di un volume che per la bellezza delle sue immagini è capace di suscitare forti emozioni. Immagini che per l'autrice e fotografa Irene Taddei "vogliono raccontare una storia, parlare della realtà al di là delle naturali apparenze, dire a chi le guarda cose per ciascuno diverse".
"E' un libro di incomparabile bellezza – ha sottolineato il Sindaco di Pisa Filippeschi – e su questo bel lavoro c'è stato un investimento del Comune come può testimoniare la ricca introduzione al volume dell'architetto Mario Pasqualetti. La storia delle vie d'acqua è la storia di Pisa. Si evoca una storia più lontana perché la nostra è una città di vie d'acqua che furono decisive per far sì che la repubblica pisana divenisse potente nel mediterraneo". Tuttavia per Filippeschi "abbiamo bisogno di dare uno sbocco contemporaneo con una progettualità. Se c'è progettualità poi ci sono anche le realizzazioni. In una città che può diventare una città splendida e abbiamo le risorse perché lo diventi. C'è un'idea e questo volume è uno strumento importante per alimentare questa idea, è una base di lavoro, un bel biglietto di presentazione".
Se per Taddei "il complimento più grande è sapere che questo volume è anche uno strumento di lavoro per il futuro", Filippeschi sottolinea la gran mole di investimenti importanti degli ultimi anni: "Abbiamo raggiunto risultati importanti sulla sicurezza idraulica soprattutto nella zona sud che era soggetta ad allegamenti. Ora avremmo progetti per la zona nord. Si è riscoperto la funzione del canale Navicelli in connessione ad un sistema rilevante per la nautica. Ed è in partenza il cantiere per la riapertura dell'Incile. C'è sostanza per fare un vero e proprio piano in aggiunta ai piani urbanistici che riguardano la terra ferma. In particolare abbiamo pensato di esplorare un progetto della golena dal Guadalongo a Riglione dove c'erano industrie d'escavazione poi abbandonate. Un'altra idea forte sarà quella di congiungerla con il viale delle piagge all'altezza di San Michele con un ponte pedonale e ciclabile".
Per l'architetto Pasqualetti il risultato di questa ricerca "fa riemergere le memoria della Pisa grande potenza del mediterraneo, ma anche l'immagine di uno straordinario paesaggio, a volte intatto, a volte bisognoso di cure ma con grandi possibilità di riqualificazione, che, pur percependosi come naturale, è in realtà il risultato dell'azione combinata della natura associata agli sforzi fatti dalle generazioni che ci hanno preceduto per rendere sicura Pisa e asciutta e salubre la pianura. Se questo libro, al di là delle emozioni che suscita, può servire a far conoscere meglio la storia della nostra città e a immaginare una città diversa vuol dire che abbiamo raggiunto il nostro scopo".

Enrico Stampacchia

venerdì 11 gennaio 2013

Dalla Repubblica Pisana al Principato di Piombino: storia dei Principi Appiani–Aragona

Un pezzo di storia che torna alla luce. Una delle casate più importanti d'Italia fino ad oggi poco conosciuta, che ha segnato il territorio toscano per cinque secoli, dalla repubblica pisana al principato di Piombino. Si tratta dei principi Appiani-Aragona che hanno avuto i natali proprio nel castello di Pons-Sacci, tra il territorio di Ponsacco e quello di Pontedera. Finora le conoscenze  erano limitate ad alcuni fatti tramandati dalla storia locale. Si sapeva che la casata aveva venduto Pisa ai Visconti e dopo essere “fuggita” nel 1399 a Piombino aveva fondato una nuova signoria che, distaccatasi dalla repubblica pisana, comprendeva tutto il litorale da Populonia a Scarlino e tutte le isole dell’arcipelago toscano e successivamente, alla fine del XVI secolo, si era trasformata in principato di Piombino.
Fondata su una importante ricerca storica ed archivistica attraverso una documentazione completamente inedita e sconosciuta, la nuova imponente pubblicazione Principi Appiani–Aragona. Dalla Repubblica Pisana al Principato di Piombino di Alberto Arrighini, edita da CLD libri, fa emergere uno spaccato su questa dinastia, protagonista per cinque secoli, dal XIV secolo al congresso di Vienna, e legata all’Impero, al regno di Spagna e a tutte le grandi casate che hanno dominato i vari staterelli italiani.
La ricerca di Arrighini non è un approfondimento su personalità già affermate nella storia, ma fornisce il materiale per costruire un nuovo edificio storico che porta alla luce quattrocentocinquanta anni di storia di una famiglia potente di cui non si sapeva quasi niente perché il tempo l'aveva dimenticata.
Il libro è stato presentato venerdì 4 gennaio a palazzo Gambacorti (che è stato anche proprietà degli Appiani) dal sindaco di Pisa Marco Filippeschi, dall'assessore alla cultura del Comune di Piombino, Ovidio Dell'Omodarme, dal sindaco di Ponsacco, Alessandro Cicarelli, dal sindaco di Campo nell'Elba, Vanno Segnini, da padre Vincenzo Coli, da monsignor Renzo Nencioni, dal professor Pier Marco De Santi,dal professor Mario Bernardo Guardi oltre che dall'autore. Filippeschi ha sottolineato come a Pisa si stia lavorando "molto sul recupero dell'identità storica. C'è una grande operazione materiale di investimento e di recupero. Ma c'è anche la speranza di un recupero della nostra storia. La città di Pisa sta conoscendo un periodo di grandi cambiamenti, caratterizzato anche da rilevanti riqualificazioni di importanti siti storici". Per il sindaco di Pisa "questo volume non solo getta una luce nuova su una famiglia importante e sulla stessa storia della città, ma è testimonianza di una fioritura di interesse su molteplici aspetti della vicenda di Pisa che, significativamente, accompagna i mutamenti in atto. Ancora vivono le testimonianze del passaggio degli Appiani sulla nostra città e sul nostro territorio ed in particolare l’attuale palazzo della Prefettura, già palazzo Appiani e poi Medici. Anche all’interno del Duomo di Pisa varie testimonianze ricordano gli Appiani".
"Per Piombino – afferma l'assessore Dell'Omodarme - questo libro ha un valore straordinario. E' il tentativo di raccontare la storia di una delle grandi famiglie delle elites toscane. Si riconnette ad una storia più generale che supera ampliamente i piccoli territori". "Una famiglia, una storia, un territorio". Per il sindaco di Campo nell'Elba "sono questi gli ingredienti del lavoro realizzato dall’architetto Arrighini che è riuscito a ricostruire, attraverso le vicissitudini dei suoi protagonisti, il percorso storico politico e sociale di un’epoca e restituircela nella sua perfetta originalità". Per il Sindaco di Ponsacco "non c'era mai stata consapevolezza sul grande ruolo che questa famiglia ha avuto. La storia degli Appiani non solo rende lustro al passato della nostra cittadina, ma di fatto riesce ad inserirla nel contesto più grande ed importante della storia nazionale". Per monsignor Nencioni, parroco della chiesa Arcipretura di Ponsacco, "spinto dalla presenza di una anonima piazza d’Appiano nel centro storico del nostro paese, Arrighini si è dedicato ad una ricerca su una famiglia che ha lasciato diversi segni a Ponsacco e che si è rivelata inaspettatamente una dinastia fra le maggiori e più importanti delle casate toscane, nata, sviluppata e ben radicata nel territorio dell’antica località di Pons–Sacci".
Fonte: http://www.pisainformaflash.it/notizie/dettaglio.html?nId=12684

sabato 5 gennaio 2013

La vestale di Kandinsky. La relazione tra il grande astrattista e la pittrice Gabriele Münter al centro del libro di Franco Donatini

"Agli occhi di molti sono stata solo un'appendice insignificante di Kandinsky. Che una donna possa avere un talento autonomo e sia un essere creativo lo si dimentica facilmente. Tutti mi consideravano la giovane fidanzata, che io dipingessi era un fatto secondario!" Gabriele Münter ricorda che prima ancora di essere stata la donna di un artista è stata un'artista donna, una donna che negli anni si è trasformata da compagna a "vestale" di Kandinsky.  La personalità e la relazione sentimentale tra i due artisti, Wassily Kandinsky e la pittrice Gabriele Münter, sono al centro del nuovo libro, pubblicato da Felici editore, La vestale di Kandinsky di Franco Donatini, ingegnere e docente universitario di Pisa che nei suoi libri approfondisce personaggi del mondo dell'arte e della scienza secondo l'approccio "visti dal di dentro" e analizza il rapporto tra l'opera e il profilo umano. Nel libro la personalità di Kandinsky è tracciata da un particolare punto di vista: la vita privata e il suo rapporto con le donne in special modo quello con la pittrice Gabriele Münter, l'unico che non si è mai trasformato in legame matrimoniale. La Münter non ha voluto "legarlo con un vincolo formale", per lei il loro era "un rapporto superiore" e "il matrimonio avrebbe potuto renderlo più banale". Una vicenda umana e artistica importante, iniziata durante il primo matrimonio con la moglie Anja Semjakin, che accompagnerà la vita di Kandinsky dal 1902 per circa quindici anni.
Il loro rapporto è ben tratteggiato da Donatini nelle pagine del libro: "Spesso lui la seguiva furtivamente quando usciva di casa per dipingere. Si appostava dietro un cespuglio per non farsi notare e osservava il dipinto che veniva fuori. Era come se guardando il quadro, ne scrutasse l'anima, le pulsioni che si esprimevano in quelle pennellate contorte e cariche di tensione. Un modo diverso di guardare la sua donna, di accedere a un immagine che non era quella puntigliosa delle loro discussioni e nemmeno quella tenera e passionale della loro intesa amorosa. Era una terza immagine che solo la pittura riusciva a rivelare e che, secondo lui, consentiva di completare pienamente la loro unione".
La relazione con la Münter sarà interrotta dal matrimonio di Kandinsky con Nina Andreevsky. Per superare il dolore dell’abbandono, Gabriele custodirà come una vestale le opere di Kandinsky realizzate nel periodo di vita in comune: "Non provo rancore per lui, ci sono molti ricordi che danno un senso alla mia vita come queste sue opere. Non sono disposta a separarmi da esse, rappresentano l'unica ragione per cui sento il bisogno di continuare a vivere".  La richiesta di restituzione dei quadri da parte dell'ex compagno vedrà una strenua opposizione della Münter che vincerà anche il processo da lui intentato. Le opere d'arte saranno donate alla Lenbachaus di Monaco in occasione dell'ottantesimo compleanno della Münter che le aveva custodite con amore e attaccamento profondo per un'intera vita. La testimonianza di uno dei momenti più alti del secolo scorso sarà così consegnata alla storia.