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sabato 21 aprile 2012

Giorni pisani della storia Ricorrenze: il 21 aprile di 920 anni fa nasceva l’arcidiocesi di Pisa

"Giorni pisani nella storia" raccontati secondo un calendario che va dal primo gennaio al 31 dicembre, un vero e proprio almanacco di pisana memoria. In un solo anno scorrono mezzo millennio di avvenimenti selezionati assemblando minuzie e grandi eventi. Poche righe per ogni giorno dell’anno fatte di brevi cenni, curiosità, episodi relativi a politica, arte e costume e connessi con la storia della celebre repubblica marinara. La pubblicazione di Sergio Simi, promossa dall’Accademia dei Disuniti, I giorni pisani della storia – Agenda pisana edito da Felici editori, da poche settimane sugli scaffali delle librerie, ci ricorda anche anniversari significativi.
Come quel 21 aprile di novecentoventi anni fa quando papa Urbano II, su istanza della contessa Matilde, elevò la chiesa pisana a sede arcivescovile con poteri metropolitani sulle diocesi della Corsica e concesse l’uso del pallio (striscia di lana bianca avvolta sulle spalle riservata solo ad alcuni arcivescovi metropoliti e primati come simbolo della giurisdizione in comunione con la Santa Sede). Daiberto (o Dagoberto o Dagiberto) sarebbe così divenuto il primo dei cinquantasette arcivescovi che si sono succeduti nella storia alla guida dell’arcidiocesi pisana che tuttora conserva  un territorio molto ampio e con confini frastagliati. Solo la conoscenza delle vicissitudini storiche può spiegare l’odierna inclusione nell’arcidiocesi pisana di comuni quali Pietrasanta, Serravezza, Forte dei Marmi, Stazzema e Barga.
Un’agenda che può stimolare la riflessione personale su ricorrenze a volte sorprendenti come quella del 6 agosto, all’epoca giorno di festa dell’antico patrono cittadino, San Sisto, ma anche giorno che evidentemente sembrava una garanzia di gran successo per la repubblica pisana.  La pubblicazione di Simi elenca in quella data una lunga serie di vittorie militari. Il 6 agosto, sempre quel medesimo giorno, Pisa avrebbe vinto a Reggio Calabria nel 1005, a Palermo nel 1063, contro i genovesi nel 1072, a Mehdia nel 1087. Ma mai affidare troppo il destino di una potenza militare ai santi protettori, il rischio di rimanere delusi è alto. Come successe nel 1284: quel 6 agosto alla Meloria rappresentò un disastro senza precedenti per la potente repubblica marinara. Tanto da far cambiare patrono ai pisani repentinamente, da San Sisto a San Ranieri.
Per il Console dell’Accademia dei Disuniti, Marco Dei Ferrari si tratta di meditare ed agire su una “pisanità” che “contrassegna la grande progressione artistica di Pisa in uno stile particolare, ricco di suggestioni mediterranee” e che“si identifica in un modo speciale di vivere la temporalità storica iniziando l’anno civile con il 25 marzo”. La data di inizio, come è noto, dell’anno cosiddetto in “Stile pisano” anticipato di nove mesi, perché non fa riferimento alla natività ma  al concepimento di Cristo, già dal X secolo (il primo documento è del 985) e in vigore fino al 20 novembre del 1749 quando Francesco I di Lorena ne abolì il computo unificandolo a quello comune. Peculiarità di una storia da valorizzare e conoscere meglio. Non per orgoglio di campanile o per crogiolarsi delle glorie del passato, ma per comprenderne a fondo le ragioni in rapporto ad una storia che non è solo quella locale.

martedì 17 aprile 2012

Caro sindaco, parliamo di biblioteche di Antonella Agnoli.


“L’ordinazione elaborata e ghiotta che aveva intenzione di fare gli sfugge dalla memoria; balbetta; ripiega sul più ovvio, sul più banale, sul più pubblicizzato, come se gli automatismi della civiltà di massa non accettassero quel suo momento di incertezza per riafferrarlo in loro balia”. In un brano del suo romanzo Palomar Italo Calvino descrive l’incapacità del protagonista di orientarsi in una ricca fromagerie parigina. Oggi attraverso il web i negozi virtuali possono crescere all’infinito, sono ipermercati senza limitazioni fisiche, nelle dimensioni. In apparenza tutto è a portata di mano: il sapere, la cultura, la formazione. Nell’arco di una sola generazione la difficoltà di accesso dei prodotti culturali si è trasformata in sovrabbondanza, in offerta illimitata, la difficoltà della scelta in angoscia che rischia di risolversi nel rifugio in cio che è già noto, conosciuto, “esattamente come accadeva al signor Palomar”.
Tuttavia per Antonella Agnoli nell’era di internet c’è un ruolo che non è stato affatto soppiantato, anche se è certamente mutato nelle sue caratteristiche, quello della biblioteca di lettura. Una nuova funzione la rinnova nel suo ruolo di “diga contro l’imbarbarimento”, di “indispensabile infrastruttura democratica”: divenire un “facilitatore” tra libri e tecnologie come anche “per tutte le attività di creazione e di consumo culturale”.
Nel suo libro Caro sindaco, parliamo di biblioteche pubblicato da Editrice bibliografica e
presentato giovedì 12 aprile in occasione dell’incontro pubblico sulla nuova biblioteca comunale di Pisa, in costruzione e pronta per il prossimo autunno, Antonella Agnoli distingue le biblioteche di pubblica lettura da quelle di conservazione e di documentazione. Le descrive come servizi diversi: la prima, quella a cui l’autrice si riferisce, “è un’istituzione nata nel XIX secolo, soprattutto nei paesi di tradizione protestante, e rispecchia una certa idea della costruzione dello stato nazionale e della democrazia. E’ stata creata perché razionalità, libertà e democrazia richiedono che l’educazione sia il più possibile diffusa: ne va delle sorti della comunità politica”, dello sviluppo economico, “non di quelle del singolo individuo. E’ stata creata per alfabetizzare il 100% della popolazione”, per chi non ha strumenti culturali, non per chi li ha già. Tuttavia l’autrice di Caro sindaco sottolinea come in Italia la biblioteca di pubblica lettura non sia mai diventata un servizio indispensabile per ogni comune, ma sia “rimasta un optional affidata alla buona volontà e alla lungimiranza della singola amministrazione”, mentre all’estero, in molte città, è un’istituzione irrinunciabile di accoglienza per migliaia di bambini e adulti sia nei servizi che nella stessa struttura. Una vera e propria “piazza del sapere” e di incontro conviviale per socializzare, apprendere, essere accolto, leggere che per Agnoli dovrebbe rimanere aperta il più a lungo possibile, anche, magari, la sera e nei giorni festivi.
Tuttavia il problema per Agnoli non è quello di creare un bel contenitore, come spesso siamo portati a fare in Italia, ma definire il contenuto che è fatto del valore di chi la abita, della disponibilità di chi vi lavora, del conforto di chi accoglie i cittadini. Bibliotecari che aiutano chi non lo sa fare ad aprirsi una casella di posta elettronica nei computer della biblioteca, che contrastano la tendenza a quel analfabetismo funzionale che si traduce, magari, nell’incapacità di saper leggere il proprio conto bancario.
Un servizio pubblico ancor più irrinunciabile in tempi di crisi e di aumento delle povertà. La biblioteca è gratuita e anche attraverso l’uso di internet può divenire un luogo per consultare le offerte di lavoro, mandare un curriculum, ricevere informazioni per la vita quotidiana. Con il suo libro Agnoli intende dimostrare come tutto cio sia possibile anche in tempi di tagli di bilancio. Per la biblioteca pubblica è però necessario “coinvolgere la città nella propria vita, dimostrare ogni giorno la propria utilità” stimolando “la partecipazione di gruppi e di associazioni” e coinvolgendo volontari capaci di ampliare “lo spettro delle attività socioculturali da offrire”. Anche per costruire un tempo libero alternativo a quello passato rinchiuso in un centro commerciale.
Enrico Stampacchia

Le sale consiliari dei Comuni della provincia di Pisa pubblicazione di Riccardo Buscemi e Massimo Olivati a cura dell’associazione culturale il Mosaico.

Quaranta sale “bellissime” non solo e non necessariamente per il loro valore artistico. Luoghi di esercizio di democrazia, luoghi di decisioni che “riguardano più da vicino la comunità locale”. La pubblicazione Le sale consiliari dei Comuni della provincia di Pisa di Riccardo Buscemi e Massimo Olivati a cura dell’associazione culturale il Mosaico è “dedicata a tutti i consiglieri comunali e provinciali della provincia di Pisa, un omaggio al loro faticoso impegno”. Rappresentanti delle istituzioni locali che per Buscemi sono in carica “per spirito di servizio” e non perché “privilegiati”. Per Andrea Pieroni, Presidente della Provincia di Pisa, e Consuelo Arrighi, presidente del consiglio provinciale, in una breve presentazione alla pubblicazione “in un’epoca che troppo spesso identifica i luoghi della politica nelle “stanze del potere” e dove la metafora del “Palazzo” costituisce ormai un luogo comune negativo del linguaggio corrente, le Sale del Consiglio sono un’immagine da valorizzare e proporre, come in questa pregevole guida, proprio per riaffermare quali debbano essere i contesti della nostra partecipazione alla vita democratica (…). Queste sale sono le “stanze” della vera politica, parte viva delle nostre Comunità”.
L’idea della pubblicazione avvenne in seguito ad una foto della splendida sala delle Baleari, sede del consiglio comunale pisano. Buscemi, in esplicito disaccordo con chi ritiene che far  politica a livello locale significhi appartenere ad una casta, come regalo natalizio ai colleghi consiglieri (e ad assessori e Sindaco) precedente alla scadenza amministrativa, volle ricordare il luogo della loro esperienza in consiglio comunale. Fece così fotografare al collega di lavoro Massimo Olivati una veduta panoramica della Sala delle Baleari di palazzo Gambacorti, sede del Comune dal 1689 (sebbene costruito tre secoli prima). “L’aula con soffitto a cassettoni, è dominata su tre lati dal ciclo di affreschi rievocante l’epopea pisana”. Sulla sinistra “la conquista delle Baleari”, impresa compiuta dalla Repubblica pisana nel 1115, dipinta nel 1663 dal napoletano Giacomo Fardelli. “La scena rappresenta la partenza della moglie e del figlio del re deposto della potente isola di Maiorca, condotti prigionieri a Pisa per abbellire il trionfo della Repubblica”. Sul lato opposto “L’impresa di Sardegna”, compiuta dai pisani nel XI secolo, dipinta sempre da Fardelli. “Una bella donna, Pisa vincitrice sta per ricevere la corona di regina dell’isola da parte della Sardegna, dipinta nelle vesti di una donna inginocchiata in atto di renderle omaggio”. Il terzo affresco sulla parete parallela alla balaustra che divide i consiglieri dal pubblico è “L’espugnazione di Gerusalemme”, episodio storico avvenuto nel 1099, dipinto dal fiorentino Cesare Dandini. “I tre affreschi sono inseriti in un’austera quadratura pittorica del fiorentino Luca Bocci, che sulla quarta parete, che fa da sfondo ai banchi della Presidenza del Consiglio e della Giunta, ha dipinto una vistosa croce pisana tra e due grandi finestre da cui la sala prende luce”.  
“Quella bella veduta della sala delle Baleari è inserita adesso – precisa Buscemi –  in questa pubblicazione”. Successivamente era nata “in me la curiosità di sapere come potessero essere le altre sale consiliari della provincia di Pisa, soprattutto dei Comuni più piccoli”, ed era cresciuta “la voglia di vederle e l’idea di fotografarle, di conoscerne brevemente la storia, di farne un libro”. Una pubblicazione in cui ad ogni capitolo corrisponde uno dei trentanove Comuni della provincia di Pisa (e la stessa Amministrazione provinciale) con la fotografia della sala consiliare ed una descrizione sia di essa che del palazzo che la ospita oltre a brevissimi cenni storici sul Comune.
“In tempi – sottolineano il Sindaco di Pisa Marco Filippeschi e il Presidente del Consiglio comunale di Pisa Titina Maccioni - in cui sembrano prevalere atteggiamenti di critica indistinta e generica verso la politica (…) il luogo, la sala della democrazia cittadina acquista un rilievo particolare. Ci ricorda che la trasparenza, la partecipazione, il libero confronto tra le posizioni, sono la via maestra per affrontare i problemi del nostro tempo e creare fiducia nella democrazia e nel futuro”.
Enrico Stampacchia

giovedì 12 aprile 2012

«Chiudono gli ospedali psichiatrici giudiziari: le nuove strutture miglioreranno un pò la situazione, ma manca il ragionamento sulla riabilitazione»

Dimenticati da tutti e costretti a vivere in strutture fatiscenti, circondati da agenti penitenziari, invece che da esperti medici e infermieri professionali. Ecco le disumane condizioni cui sono sottoposti gli internati degli ospedali psichiatrici giudiziari così come emergono dal viaggio inchiesta della deputata Maria Antonietta Farina Coscioni.
“Dal corpo del malato al cuore della politica”, l’identità dell’associazione Luca Coscioni di cui Maria Antonietta è presidente onorario fa riferimento ad una politica che non è l’arte del potere fine a se stesso, non affida il proprio futuro alla volontà di altri, spesso al cinismo di poche elite dominanti, ma è progetto di vita individuale e collettivo, è speranza nella libertà di ricerca scientifica, è capacità di fornire a ognuno di noi gli strumenti per controllare e verificare quotidianamente l’operato di chi fa le leggi e di chi ci governa. Il libro Matti in libertà, l’inganno della “Legge Basaglia”  di Maria Antonietta Farina Coscioni, con vignette e postfazione di Sergio Staino, narra storie individuali ma affronta, anche sul piano dell’evoluzione storica, una realtà rimasta completamente esclusa dalla cosiddetta “legge Basaglia” del 1978, quella degli ospedali psichiatrici giudiziari. Ospedali solo nel nome, ma in realtà strutture penitenziarie gestite dal Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria del Ministero della Giustizia.
Il libro, pubblicato da Editori riuniti l’estate scorsa, è oggi più che mai attuale. La denuncia delle realtà degli Opg chiama in causa non tanto e non necessariamente i limiti gestionali degli operatori quanto, piuttosto, il vuoto della politica. E’ proprio di due mesi fa l’approvazione del decreto svuotacarceri che all’articolo 3ter prevede entro il 31 marzo del 2013 la fine dell'internamento negli Opg e l’affidamento delle misure di custodia all’interno di strutture sanitarie. Tuttavia già un decreto di Prodi dell’aprile 2008 indicava modalità e criteri di territorializzazione e regionalizzazione per il trasferimento delle competenze sanitarie dei rapporti di lavoro, delle risorse e delle attrezzature dalla sanità penitenziaria al Servizio sanitario nazionale.
Se ne parlerà in una presentazione pubblica, organizzata dalla cellula Coscioni di Pisa in collaborazione con il centro Poliedro e la libreria Roma e con il patrocinio del Comune di Pontedera, venerdì 13 aprile alle ore 21 presso il centro Poliedro, in piazza Berlinguer a Pontedera e moderata dal giornalista Paolo Daddi con il direttore di uno dei sei ospedali psichiatrici giudiziari, l’unico in Toscana, a Montelupo Fiorentino, lo psichiatra Franco Scarpa, il deputato Paolo Fontanelli, la psichiatra, psicoterapeuta e ricercatrice, Antonella Garofalo, e l’autrice Maria Antonietta Farina Coscioni, che ci anticiperà i temi dell’iniziativa. 

Maria Antonietta, nel tuo libro denunciavi un eccesso di discrezionalità affidata ai giudici, ma ora quali saranno gli strumenti di controllo e di garanzia per i malati visto che la nuova norma oltre a fissare una data non entra nel merito della relazione tra magistratura e servizi psichiatrici e non muta il concetto di pericolosità sociale?
Il rischio è lo stesso che aveva individuato Basaglia all’indomani dell’approvazione della legge che porta il suo nome ma che non ha nulla a che vedere con lui.

Quale?Come diceva Basaglia gli interventi terapeutici che dovrebbero avvenire in ambito sociale sono interventi sul territorio con strutture non ghettizzanti mentre, cito le sue parole all’indomani dell’approvazione della legge 180 riportate anche nel mio libro, “negli ospedali ci sarà sempre il pericolo dei reparti speciali, del perpetuarsi di una visione segregante ed emarginante”.

Il sottotitolo del tuo libro è appunto “l’inganno della ‘legge Basaglia’”...Sì, il libro voleva spiegare che la legge 180 è stata approvata a tempo record con il principale obiettivo di evitare il referendum radicale tralasciando totalmente gli strumenti di realizzazione della riforma e che la realtà degli ospedali psichiatrici giudiziari è rimasta uguale a prima. 

Mentre nella nuova normativa contenuta nel decreto svuotacarceri?Con le nuove strutture che dovrebbero sostituire gli ospedali psichiatrici giudiziari potranno migliorare le condizioni di permanenza ma sono applicate le stesse misure di sicurezza del ricovero in o.p.g. Il punto è che non si affronta  il problema fondamentale che è quello terapeutico della riabilitazione e del reinserimento delle persone di cui è scemata la pericolosità sociale. Se sul territorio non trovano strutture di accoglienza, quei pazienti non possono comunque essere dimessi, il magistrato proroga la misura di sicurezza e si configura quello che viene chiamato “ergastolo bianco”. Il rischio è che si creino quelle strutture ghettizzanti di cui parlava Basaglia a proposito della legge 180.

Strutture ibride ma che in fondo rimangono sempre più di detenzione che di cura. Alcuni pazienti sono ritenuti pronti dagli esperti per un percorso di reinserimento che il magistrato deve negare perché sul territorio non ci sono strutture capaci di accoglierli...
Non solo. Le norme relative alla imputabilità e alla non imputabilità rimangono assolutamente inalterate. Occorreva mettere mano agli articoli del codice penale.

In che modo?
Era stato fatto un ottimo lavoro la scorsa legislatura dalla commissione presieduta da Pisapia. E’ assurdo prevedere, come è attualmente, l’ingresso in o.p.g. per chi ha fatto uso di sostanze stupefacenti o abusi di alcool.

Dovrebbero essere assolutamente imputabili, visto che non erano capaci di intendere per la volontaria assunzione di stupefacenti...
Ci sono stati molti casi di questo tipo con persone che commettono un reato sotto uso di stupefacenti. In questo modo non c’è certezza della pena.

In appendice del tuo libro hai inserito il discorso di Marco Pannella alla Camera dei deputati in occasione dell’approvazione della “legge Basaglia” che denuncia il “tentativo strumentale di varare una legge che pur contenendo apprezzabili aspetti innovativi non si preoccupa di garantire la sua applicazione”. Siamo di fronte all’ennesima norma manifesto in cui si individua un obiettivo condivisibile, ma non si creano gli strumenti adeguati per realizzarlo?
A parte il fatto che la nuova normativa fissa dei termini perentori e il primo, il 31 marzo 2012, è gia stato disatteso. Entro quella data si sarebbe dovuto emanare un decreto  da parte del Ministero della Salute di concerto con il ministero della Giustizia e d’intesa con la conferenza Stato-Regioni. Il rischio è che si perfezioni ulteriormente l’inganno di una riforma-manifesto che non si sa come sostanziare, non essendoci finora state le energie, i mezzi, le risorse, il personale. Si tratta di ineludibili questioni chiave che non possono e non devono essere ulteriormente eluse. Ed è quanto ho chiesto al Governo con un’interrogazione urgente.
Enrico Stampacchia

Fonte: http://www.pisainformaflash.it/notizie/dettaglio.html?nId=10127