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lunedì 30 gennaio 2012

Boom editoria pisana : in 20 anni dal 2% al 14% della produzione regionale

Crescono i libri nella città della torre. Con 552 titoli pubblicati in un anno la provincia di Pisa sale da un modestissimo 2% dell’intera produzione libraria regionale del 1990 ad un ben più consistente 14% della quota di mercato nell’ultimo anno oggetto di rilevamento, il 2009. Al contrario, la provincia di Firenze, pur continuando a primeggiare con 2635 titoli, scende da un quasi totalizzante 88% del 1990 ad un più modesto 66% di una regione, la Toscana, che con il 6% rispetto al dato nazionale è quinta sia per titoli che per numero di copie.
E’ quanto emerge dall’analisi di mercato affidata dalla Regione Toscana all’Irpet (Istituto regionale programmazione economica della Toscana) e curata da Carmelina Brugnano che ha dato origine alla nuova pubblicazione Editoria toscana: cultura, industria e brand regionale. I dati sulla produzione libraria hanno messo in luce un fenomeno già noto da tempo: in seguito alle acquisizioni, negli anni Ottanta e Novanta, di affermate case editrici fiorentine come La Nuova Italia, Sansoni e Le Monnier, da parte dei due principali gruppi editoriali italiani, le milanesi Mondadori e Rcs, il baricentro della produzione si è spostato dal Centro al Nord Italia. Il dato degli ultimi dieci anni indica che, sebbene ci siano segnali di ripresa, la produzione libraria regionale ha ridotto la sua presenza sul mercato nazionale.
Tuttavia la Toscana se tanto per numero di copie quanto per titoli è oggi la quinta regione dopo Lombardia, Piemonte, Lazio, Emilia Romagna, per numero di case editrici, con il 9%, è terza solo dopo Lombardia (20%) e Lazio (17%). Al livello nazionale il numero di editori censiti dall’Istat è di 2.225 unità di cui un quarto con produzione nulla, il 44% con una produzione non superiore a 10 libri l’anno, definiti per questo piccoli editori dall'Istat, il 22% compresa tra 11 e 50, medi editori, e il 9% superiore a 50, grandi editori. In Toscana gli editori sono 203 ma la ripartizione percentuale tra piccoli, medi e grandi editori si ripropone  in proporzioni all'incirca equivalenti. Il dato da cui si discosta la nostra regione è piuttosto la relazione tra produzione libraria e dimensione degli editori: se al livello nazionale il 75% della produzione è in mano ai grandi editori, in Toscana la cifra non supera il 60%: c’è un 15% di mercato in più in mano ai piccoli e medi editori.
Se per quanto riguardava il decennio 1991-2001 una precedente indagine Irpet aveva fatto emergere al livello regionale la crescita di imprese piccole e piccolissime, dal 2002 al 2009 la nuova tendenza è ad un aumento degli editori medi a scapito di quelli di piccola dimensione che sono diminuiti del 21%. La pubblicazione dell'Irpet, facendo riferimento ai dati dell'Archivio Imprese dell'Istat, mette in evidenza anche un lieve calo occupazionale: nel 2000 gli addetti nel settore “Editoria libri” erano 885, otto anni dopo sono scesi a 856 con una riduzione del 3,3%. Il fenomeno è imputabile anche al processo di esternalizzazione del personale praticato per ridurre i costi soprattutto nelle imprese editoriali di dimensioni medie e piccole. La ripartizione nel territorio del dato occupazionale vede il 68% delle imprese editoriali concentrate nella provincia di Firenze, il 7% a Pisa e a Pistoia, il 6% a Siena e il 5% a Lucca.
Analizzando il dato pisano anche al di là delle indicazioni contenute nella pubblicazione Irpet, possiamo vedere che il motivo della crescita degli ultimi vent’anni (molto rilevante soprattutto se valutato in relazione ad un dato toscano non particolarmente positivo, ma buono anche in termini assoluti) è dovuto sia ad un buon andamento delle case editrici storiche come Pacini editore, Fabrizio Serra editore, Edizioni Ets, Edizioni Plus (la casa editrice dell’Ateneo pisano) e Felici editore (che solo nell’ultimo decennio è passata da una produzione annuale media di trenta titoli ad una di settanta), sia alla nascita di nuove come Primula Multimedia (che opera prevalentemente nel settore medico) in città e Tagete edizioni (una media di trenta titoli l’anno) in Valdera. Se però dai titoli pubblicati si passa ad analizzare il numero di copie immesse sul mercato anche la realtà pisana mostra un andamento molto più altalenante. Sul piano regionale (dove peraltro i dati sul fatturato delle imprese editoriali non sono molto alti se comparati a quelle di altre regioni) la pubblicazione Irpet ammette di non aver dati in merito alla durata dei titoli in catalogo, ma il numero di novità pubblicate annualmente dalle case editrici “porta a pensare che solo un numero limitato di editori riesce ad individuare titoli capaci di durare in libreria” Una strategia competitiva che consiste anche “nel puntare ad una costante visibilità sui banchi e sugli scaffali delle librerie tramite l’immissione di nuovi titoli”.

 Enrico Stampacchia

sabato 14 gennaio 2012

La carta più alta di Malvaldi Lo scrittore pisano ha presentato l'ultimo libro nella sua città

“A parte Bruno Vespa chi scrive è perché la realtà così com’è non riesce proprio a sopportarla. Ha bisogno di cambiarla”. Uno stile sarcastico e pungente Marco Malvaldi non lo usa solo nello scrivere, di fronte ad una sala gremita della libreria Feltrinelli di Pisa, nel presentare a voce La carta  più alta, il suo quarto romanzo della serie del BarLume, nelle librerie solo da un giorno, è coinciso, diretto, ironico come nei suoi libri. Quando scrive diverte e si diverte perché, come ammette lui stesso, lo fa anche per ridere e non per macerarsi dentro. Ma nel suo ultimo libro c’è un evoluzione. “Finora – precisa l’autore - nei miei romanzi la trama era abbastanza secondaria serviva solo come filo conduttore. Ne "La carta più alta" è diverso, ho cercato di costruire una trama che potesse soddisfare anche il giallista più esigente. Questa volta è difficile poter immaginare il colpevole anche dopo aver letto i tre quarti del romanzo”
Nel nuovo giallo del BarLume il protagonista, il barista Massimo che Malvaldi definisce il contrario di se, il suo “sfogo sul mondo”, perché fa tutto ciò che per buona educazione l’autore non può fare, all’inizio sarebbe tutt’altro che propenso ad interessarsi alle dietrologie dei quattro vecchietti abbarbicati tutto il giorno al tavolo del suo bar. Se è vero che dalla noia nascono i bar, per Massimo “non è che tutti gli anni possono ammazzare qualcuno per farvi passare il tempo”. Ma nonno Ampelio, il Rimediotti, Pilade Del Tacca del Comune, Aldo il ristoratore, dalla vendita sottoprezzo di una villa lussuosa, la stessa dove Aldo, a cui avevano appena distrutto il locale, aveva ricevuta l’offerta di aprire un ristorante in comproprietà, sono convinti che la morte del vecchio titolare, Ranieri Carratori, sia dovuta ad omicidio e non a malattia.
Attraverso le conoscenze di Pilade in Comune, i quattro amici al bar erano, infatti, riusciti ad appropriarsi dei vecchi atti di acquisizione del fabbricato e a scoprire che il bene era stato comprato solo come nuda proprietà, e quindi destinato a rimanere in mano al venditore, il Carratori appunto, che però, guarda caso, sarebbe morto improvvisamente nel giro di pochissimo tempo dalla stipula del contratto, ufficialmente, per un tumore. Un banale incidente, la rottura di un tendine, costringerà Massimo a un ricovero proprio nella stessa clinica in cui è morto Carratori. La lunga e noiosa ospedaliera permetterà al protagonista di rielaborare tutte le informazioni e ricostruire la vicenda. Come nei classici del giallo deduttivo, il lavoro di intelletto investigativo consentirà, attraverso un intuizione del protagonista, la soluzione del caso.
Nel quarto romanzo del BarLume, il nome è scaturito dalla fantasia della moglie di Malvaldi, nella immaginaria località “Pineta”, luogo inventato per “motivi civili e penali” tra Marina di Pisa e Tirrenia, è anche rientrata Tiziana, la mitica e discreta commessa del bar, uscita di scena in seguito al suo matrimonio alla fine del terzo  romanzo. L’autore l’ha fatta separare, e quindi tornare in servizio, con la motivazione di “abuso di videogiochi” da parte del marito. Malvaldi ha, però, voluto precisare di non aver lavorato solo di fantasia: i casi di divorzi in Italia con una tale motivazione sarebbero solo nell’ultimo anno almeno quattrocento.
Enrico Stampacchia

Fonte: http://www.pisainformaflash.it/notizie/dettaglio.html?nId=9316
L'intervista all'autore

lunedì 9 gennaio 2012

L’espansione urbanistica di Pisa. Storia di una città attraverso l'Arno

"L’aspetto di Pisa mi piace assai più di quello di Firenze. Questo lungarno è uno spettacolo così bello, così ampio così magnifico, così ridente che innamora (...) e non so se in tutta Europa si trovino vedute di questa sorta”. Nel 1827 le rive pisane del fiume Arno, come è noto, rappresentavano per Giacomo Leopardi fonte di ispirazione poetica, ma la loro storia, nei secoli, si è indissolubilmente evoluta con quella della città che le ospita, lo stesso sviluppo urbanistico, nei suoi itinerari e ostacoli storici, passa attraverso il secolare corpo a corpo col fiume che l'attraversa.
I tagli di correzione delle anse dell’Arno nel territorio pisano e i tentativi di raddrizzamento delfiume descritti come tappe che scandiscono l’urbanizzazione di Pisa sono al centro del libro di Aldo Benvenuti L’espansione urbanistica di Pisa. Itinerari e ostacoli storici pubblicato da Edizioni ETS. Ultimo della sua trilogia dopo Barbaricina e San Rossore dagli ultimi Medici ai Savoia e Da Pisa alle foci d’Arno nel Medioevo, il nuovo libro di Benvenuti rappresenta il compimento di un lavorodi ricerca trentennale sullo sviluppo della città di Pisa che, lasciando sullo sfondo il succedersi cronologico degli avvenimenti, si riferisce a quel che lui stesso ama definire “la storia minuta”, la microstoria della città.
Se la comprensione dei cambiamenti dell’assetto urbanistico avviene anche attraverso l’analisi di nomi di luoghi e strade, la descrizione dello sviluppo delle due rive, prima solo la destra poi successivamente anche quella sinistra, è anche rappresentazione di comunità socio-economiche. Benvenuti approfondisce il contrapposto “percorso sociale culturale e lavorativo che intraprendono, in modo ben delineato e distinto fin dal tardo Medioevo, le due opposte rive d’Arno a occidentedella città. Le une, sulla sinistra del fiume appartenenti alla giurisdizione parrocchiale di San Giovanni al Gatano e San Piero a Grado; le altre a quella più vasta di Sant’Apollinare di Barbaricina”. Così attraverso una approfondita documentazione l’autore ricostruisce le vicende relative a due diversi casamenti, una bottega artigianale del XV secolo in San Giovanni al Gatano e una fattoria agricola della prima metà del XVI secolo in Sant’Apollinare di Barbaricina anche “per dare un’idea di come, in brevi e vicini spazi, esistano, talvolta, grandi distanze sociali ed economiche, lavorative e abitative”.
Ad accentuare la polarizzazione tra le due rive dell’Arno a occidente di Pisa contribuirà il taglio Leopoldo del 1774 dell’ansa a la Leona, meandro che si inseriva in un’ampia area dell’attuale territorio di Barbaricina. Ultimo in ordine cronologico ad aver raddrizzato il corso dell’Arno tra Pisa e la foce, dopo quello del X secolo al Gatano, nell’area Quarantola, il successivo del 1348 che ha estinto le due anse Di La Vettola e di San Rossore fino ad arrivare al taglio Ferdinando del 1606, che ha spostato a nord la foce del fiume, il taglio voluto da Pietro Leopoldo di Lorena fece accorrere per la grande opera idrica terrazzieri e braccianti da tutto il Granducato. Tuttavia mentre la riva destra di Barbaricina e San Rossore, accresciuta di superfici coltivabili, rimarrà legata all’attività agricola, la riva sinistra di San Giovanni al Gatano, l’attuale Porta a Mare, subirà una forte interazione tra la nuova manodopera e la comunità presistente che favorirà l’intensificarsi di un’attività artigiana e imprenditoriale. Un preludio all’industrializzazione della fine del secolo successivo che vedrà, invece, sulla sponda opposta lo sviluppo dell’ippica. Due mondi lontani,divisi fiscamente solo dal corso di un fiume modificato nei secoli dall’uomo: l’Arno.

Enrico Stampacchia